Quando nasce un femminicidio?
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Femminicidio |
A
prescindere dal fatto che non amo il termine femminicidio, creato tra
l’altro per far capire l’ottica distorta
che dà vita a certi crimini, c’è da chiedersi: QUANDO nasce esattamente un
femminicidio?
Cioè,
la riduzione sia fisica che emotiva delle donne a degli oggetti, perché di
questo si tratta, portata alle sue estreme conseguenze, quando mette le radici
prima di arrivare ad un gesto così eclatante ed irreparabile? E quante volte
invece rimane latente, possibile, in bilico su equilibri familiari che si
poggiano sul non rispetto della dignità femminile?
Un
femminicidio, a mio parere, è un qualcosa di abbrutente e assolutamente
ingiusto che si respira nell’aria, che permea pareti, stanze, persone e
situazioni e che si nutre anche di piccole cose.
Nasce,
per esempio, quando un ragazzino utilizza la sua superiorità fisica su una
bambina con dei piccoli gesti di prevaricazione e nessuno lo riprende,
o quando un marito e ancora peggio un padre minimizza gli sforzi della propria
compagna, si vanta del fatto di essere servito e riverito, e deride lo stress
di mogli e madri divise in modo disumano tra lavoro, casa e figli, in una corsa
disperata di cui non avranno mai ragione per quanto si potranno affannare.
Nasce
in figli maschi che vivono la propria casa come una ‘tana’ dove madri e sorelle
lavoratrici o studentesse, appena si chiudono la porta alle spalle, perdono la propria
parità giuridica e sociale e si trasformano in delle serve. Nasce in modelli
televisivi dove i personaggi vincenti e agognati sono delle donne ridotte a
caricature di bambole gonfiabili, in cui l’emancipazione femminile passa
attraverso la vendita e l’ostentazione del proprio corpo, in maniera maniacale,
ossessiva, lasciva. Un femminicidio nasce anche in cose all'apparenza innocenti, come le pubblicità dei detersivi per esempio, in cui le uniche ad
apparire intente alle mansioni domestiche sono delle ‘femmine’ per l’appunto,
anche se subito dopo il bucato devono correre a lavorare tanto e quanto i loro
compagni buttati felici sui divani, o negli spot di merendine e cereali,
dove mamme felici servono famiglie felici riunite intorno ad un tavolo, come se
ancora, in ogni famiglia, esistesse una casalinga dedita al solo ruolo di angelo del focolare.
Un
femminicidio nasce quando un marito maltratta la propria compagna nel silenzio correo
di parenti, amici e conoscenti, o quando un padre non rispetta la propria
moglie davanti agli occhi avidi di gesti e modelli da ripetere dei propri
figli.
Il
femminicidio ha delle complici, e sono mamme iperprotettive verso i propri
pupilli maschi, che non avendo ricevuto attenzioni e amore da partner assenti e
maschilisti, hanno riversato queste necessità su figli amati troppo
morbosamente, in una competizione insana e cattiva con le loro future compagne,
e ancora donne per cui scarpe, vestiti, trucchi e gossip rivestono un ruolo
imprescindibile e difficilmente sostituibile da quotidiani, libri e attività
sociali, per cui la guida è spesso un tabù…in una corsa autolesionista ad
incarnare cliché abusati e poco veritieri.
Un
femminicidio è l’apice e la parte più tangibile di un’ingiustizia sociale che
la legge ha cancellato diversi anni or sono, ma che la mentalità comune
perpetua, e di cui l’uomo, in ultima analisi, è una delle vittime.
Perché
il femminicidio nasce da consuetudini di possesso e riduzione all’inferiorità
quotidiana di donne che già nel lontano 1975, e io all’epoca avevo solo un
anno (!), furono dalla legge equiparate in tutto e per tutto agli uomini, anche
all’interno dell’istituzione matrimoniale.
È infatti
con la Legge 19 maggio 1975 n°151 che si stravolse la struttura della famiglia,
una legge basata sull’art. 143 del Codice Civile, nel quale si afferma in modo perentorio che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi
diritti e assumono i medesimi doveri”. Tutto ciò comportando obblighi di
fedeltà, assistenza morale e materiale e collaborazione assolutamente paritari, senza distinzioni tra moglie e marito.
Ed
è la stessa legge ad estendere il mantenimento della famiglia ad entrambi i
coniugi, certo in relazione alle loro sostanze ed alle loro capacità di
lavoro professionale e casalingo. Il lavoro professionale e casalingo, inoltre,
così come le necessità dei figli, nell’ottica del legislatore acquistano la
medesima dignità e i due coniugi sono tenuti, pur nella libertà di scelta, ad attendervi entrambi in egual modo.
Una
legge, all’attualità, che non credo sia stata assorbita e recepita
dalla mentalità comune e dal comune senso della ragione.
E
come diceva qualcuno, si sa, il sonno della ragione genera mostri...
Un femminicidio in sostanza credo che nasca da lontano, da molto lontano rispetto al momento deflagrante della violenza, e ha così tanto complici che la mano che lo compie è solo l'ultimo anello di una vasta catena. E in tutto questo sono convinta che proprio le donne, che gli uomini 'li fanno', li crescono e li educano, dovrebbero sforzarsi di prevenire una simile aberrazione insegnando a se stesse, e poi anche agli altri, il proprio valore e il rispetto che questo pretende. La rivoluzione insomma si fa da mamme, da figlie e da compagne, e in ultima analisi, se questo proprio non bastasse, anche in piazza.
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