"Quando non si ha fantasia, morire poco conta,ma quando se ne ha, morire è troppo. Ecco il mio parere. Mai non avevo capito tante cose in una volta sola."
'Viaggio al termine della notte'
Louis-Ferdinand Céline
Ieri sono andata alla
presentazione di un libro, si trattava di un autore non ancora famoso e
naturalmente non ne farò il nome, non fosse per evitare rotture di scatole.
Mentre lo ascoltavo
attenta mi sono messa a riflettere sul fatto che ognuno di noi, sin da bambino,
si è più volte interrogato sulla tattica migliore per uscire dal mucchio e fare
la differenza in determinate situazioni, chiedendomi se lo scrittore in questione ci
stesse riuscendo. Fortunatamente per il mio equilibrio psichico è stata ed è
una necessità che avverto solo a fasi alterne e per scopi specifici, amando
anche mettermi da parte per ascoltare gli altri. Un atteggiamento tra l’altro
che ieri ho adottato con molta predisposizione, potendo così osservare con calma
la tecnica auto promozionale dell’aspirante scrittore di successo.
E mentre lo ascoltavo
dissertare con l’aria un po’ trasognata e con un certo distacco, mi sono
chiesta, a fronte delle molte presentazioni di libri cui ho assistito, quale
fosse l’approccio più giusto per uscire dal coro e fare la differenza, cioè
quale fosse la tecnica comunicativa che mi avesse catturato e arricchito di più
tra le tante osservate.
Ci riflettevo mentre l'autore, in una location splendida, con vista sul mare direttamente dai meandri di
un caratteristico borgo medievale, parlava guardando tutti e nessuno, con la
testa un po’ reclinata, facendo spallucce quasi si raccontasse a un amico,
sigaretta rullata in una mano e birra pronta accanto alla seggiola, i capelli
spettinati, maglia nera su jeans nero, molto hipster del tipo ‘vivo a Bologna
ma torno in provincia per raccontarmi’, e mi chiedevo: è questo l'atteggiamento giusto?
L’ho ascoltato
concentrata sulla mimica e sulle parole utilizzate, e alla fine ho dovuto
realizzare che non mi aveva stimolato proprio per niente a comprarne il libro
(16 euro alla fine, mica uno scherzo!) e mi sono chiesta in cosa avesse
sbagliato nel suo modo di proporsi.
Partendo dal fatto che
come mi informò un organizzatore seriale di presentazioni letterarie, ogni
dieci persone presenti una, di norma, acquista il libro, e questa è la
statistica, e che il pubblico è sempre più sparuto, ridotto e disinteressato, mi
sono domandata: cosa si potrebbe dire o fare per indurre gli ormai rari
interessati ad ascoltare uno scrittore dal vivo e a comprarne la fatica letteraria spendendo i pochi euro a
disposizione per beni velleitari ?
Certo, mi sono detta,
molto dipende dalla notorietà dello scrittore, ma non è soltanto la fama a fare
la differenza. Alla fine parecchio si gioca su un fatto emozionale e sul
prodotto di cui si parla.
Da pubblico ho potuto
constatare che l’artista un po’ figo e molto distaccato, che ostenta una certa
cultura di genere, che ama le citazioni di striscio (non insistite
sulla pronuncia del nome, quindi o le capisci al volo oppure non è colpa sua) e
che si disinteressa di ciò che pensano gli altri perché il suo modo di
esprimersi è unico e non modificabile, non mi ha mai attirato molto
nell’acquisto finale. Autoreferenziale lo scrittore, autoreferenziale il libro.
Magari mi sono sbagliata, ma ahimè, non lo saprò mai, e infatti ieri ho saltato
l’acquisto!
È anche vero che
l’atteggiamento esattamente opposto a questo, ovvero, la piacioneria, in
passato non mi ha convinto allo stesso modo. Uno scrittore che ti strizza
l’occhio, che parla del suo libro dicendo che non ti deluderà e che sarà
sicuramente all’altezza delle attese, mi smonta in partenza. Perché se un
romanzo non delude nessuno mi viene da pensare che quantomeno sia un prodotto
di massa, e che se va bene per tutti non possa andar bene per chi ama leggere
più in profondità. La massa si sa, il più delle volte ha gusti banali e scontati.
Inoltre, se in un libro c’è del vero l’autore non può essere un felice venditore
di se stesso senza dubbi e autocritica, senza quella certa sofferenza interiore
e tormento un po’ misantropico che distinguono il vero artista. Ricordiamoci
che l’arte della scrittura è un esercizio solitario e mal si adatta
esternamente a uno smagliante piazzatore di best seller.
Però, diciamolo, anche
lo scrittore con gli occhi socchiusi, l’espressione sofferente e lo sguardo
rivolto al pubblico in uno sforzo irrefrenabile di far capire quali profondi
sommovimenti interiori lo abbiano portato a creare, mi sembra poco invitante.
L’arte più convincente è quella che non rimane schiava dell’individualismo
dell’autore, in cui ognuno può riconoscersi, e non soltanto il suo artefice con
le proprie personalissime turbe emotive ed esistenziali.
Altro approccio che non
gradisco molto è quello tecnico e un po’ distaccato, quello in cui sembra che
lo scrittore parli di una macchina con tanto di meccanismi e dinamiche
prestabilite, quasi che il romanzo abbia vita propria, i personaggi anche, e
che lui ne sia un semplice esecutore che ne disserta in modo descrittivo. No,
non comprerei mai il libro se l’autore me ne parlasse in questo modo.
Un’altra modalità
ancora che non mi convince e credo non convinca nessuno in realtà, è quella
basata sullo sminuire il proprio risultato finale. Quella in cui l’autore
sembra stia lì per caso, in cui non si definisce uno scrittore nel vero senso
della parola e nella quale la modestia lo porta ad ammettere di aver titubato
parecchio prima di buttar giù ciò che pensava e di parlare pubblicamente di una
storia che al massimo, aveva pensato di poter raccontare alla mamma o ai
fratelli. Quella predisposizione mentale per cui ci si crogiola dicendo di non
aver svolto molta ricerca, di scrivere velocemente (un buon libro ha gestazioni
lunghe, rare le eccezioni dovute soltanto a dei grandi geni), di non leggere
autori affini ma di guardare molti film sulla materia (da evitare
assolutamente!) e di fare tutt’altro mestiere. ‘Ok’, mi viene da pensare quando
sento cose del genere ‘ho risparmiato per una nuova maglietta!’.
E allora, mi sono
chiesta, di tutti quelli che mi possono venire in mente, qual è il tono giusto
per promuovere un libro?
Ragionandoci sopra mi
sono subito venute in mente alcune stupende interviste di G. Simenon e le
dichiarazioni televisive di autori molto conosciuti. Pescando invece tra i
ricordi vissuti, ho ripensato a un noto autore di thriller, Jefferey Deaver, mai
letto prima tra l’altro, che in un caldissimo pomeriggio di giugno, con la
platea sotto il sole falcidiata da un importante evento sportivo, si raccontava
con ironia, umiltà e consapevolezza di sé, emozionandoci e tenendoci sul filo
nonostante la temperatura proibitiva. Dichiarandosi un ex nerd, che scrivendo
non aveva mai emozionato nessuno (è pubblicando e vendendo che si passa dalla
nomea di perditempo a quella di mente superiore, come ha ben precisato),
raccontava che applicando talento naturale, tempo, tecnica e perfezionismo,
aveva raggiunto un successo planetario che si accingeva a conservare con
altrettanto talento, tempo, tecnica e perfezionismo faticosissimi. Scrivere è
di per sé un’attività divulgativa, una comunicazione tra le più efficaci, e di
solito uno scrittore sa cosa dire, anche solo sotto forma di risposte e non di
monologo, per incuriosire e far sognare una platea. Sa comunicare la magia
della creatività perché ne è irretito lui stesso e la vive costantemente,
perché un capolavoro è sempre legato a doppio filo alla personalità da cui
nasce. Per cui, gestendosi con ironia tra autobiografismo e tecnica letteraria,
Deaver ci ha
illustrato la magia della nascita di un libro in un tempo che è sembrato anche troppo
breve.
Ecco, pensandoci e
ripensandoci, alla fine ho concluso che sia questo uno degli approcci più
giusti e convincenti, certo finché non parteciperò a una presentazione in cui
mi capiterà di riscontrare un modo ancora più coinvolgente ed efficace. Nel
frattempo, mentre mi dedicavo a queste riflessioni, l’evento è volto al termine
e curiosa come sempre ho seguito con gli occhi il nostro aspirante autore di
successo. Ma in modo prevedibile non ha dato molta soddisfazione al pubblico
rimasto in zona e come se il fatto non fosse il suo è sgattaiolato via
trafficando con il proprio cellulare. Peccato, ho concluso, di questi tempi in
cui ascoltare gli altri è un’attività davvero poco di moda, ha quantomeno perso
un’occasione!